UNA FRASE, UNA RIFLESSIONE: LE CITTA’ INVISIBILI

DALLE CITTA' INVISIBILI ALLE CITTA' GLOBALI, TRA "MONDO UNICO" E OMOLOGAZIONE CULTURALE

Ne Le città invisibili Calvino faceva raccontare al personaggio di Marco Polo le immaginarie città visitate durante il viaggio verso Oriente e parlava di “differenze che si perdono”, anticipando uno dei rischi del mondo globalizzato moderno.

Il centenario della nascita di Italo Calvino – certamente uno dei maggiori esponenti della letteratura italiana del Novecento – offre l’opportunità di riscoprire alcune delle sue più celebri opere e di farsi trascinare in riflessioni nuove e contemporanee. Ne Le città invisibili, per esempio, c’è un passo che ci porta a pensare alle città di oggi e a come la globalizzazione stia comportando una sempre più marcata standardizzazione e perdita di identità.

Ma partiamo proprio dalle “città invisibili” di Calvino.

Le città invisibili

Il romanzo, pubblicato nel 1972, si sviluppa intorno a un dialogo immaginario tra Marco Polo, giunto in Oriente dopo aver attraversato il continente asiatico, e Kublai Khan, imperatore del regno dei Tartari, che chiede all’esploratore veneziano di descrivergli le città che ha visitato nel corso del suo viaggio. In ogni capitolo del libro viene così descritta una città, ma non si tratta di mere descrizioni fisiche, peraltro di città inesistenti che assumono nomi femminili dal sapore classicheggiante e antico. Si tratta piuttosto di un labirintico percorso che unisce rappresentazioni concrete e immagini, sensazioni, sentimenti, metafore. Si compone così un quadro del mondo frammentario, caotico, disordinato, nel quale ritrovare concetti persistenti come la memoria, la morte, il tempo, la fantasia, le connessioni tra le persone.

Le città senza differenze

Ogni capitolo offre dunque i più vari spunti di riflessione, senza tempo e senza un orientamento predefinito, mossi anche semplicemente da una frase. Il passo seguente, ad esempio, ci conduce a un dialogo sulle città di oggi:

“ – Mi sembra che tu riconosci meglio le città sull’atlante che a visitarle di persona, – dice a Marco l‘imperatore richiudendo il libro di scatto.

E Polo: – Viaggiando ci s’accorge che le differenze si perdono: ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma ordine distanze, un pulviscolo informe invade i continenti. Il tuo atlante custodisce intatte le differenze: quell’assortimento di qualità che sono come le lettere del nome.”

Parole, scritte oltre cinquant’anni fa, che suonano incredibilmente anticipatorie di tendenze invece contemporanee, come la crescente conformazione dei luoghi come conseguenza della globalizzazione in atto da qualche decennio, e oggi in misura sempre più marcata.

Bene o male, la globalizzazione

Difficilmente le cose importanti offrono un solo punto di vista e un solo lato da cui essere analizzate: quante volte Calvino, nel romanzo, pone a contatto visioni opposte di uno stesso centro! I vivi e i morti, la terra e il cielo, gli elementi visibili e quelli nascosti. Così la globalizzazione, supportata dalle nuove tecnologie e dalla digitalizzazione, ha certamente migliorato le comunicazioni, i trasporti, i movimenti di persone e merci, le attività lavorative, lo scambio culturale e di conoscenze, unendo davvero i diversi Paesi del mondo. Allo stesso tempo, però, la globalizzazione in atto, il “mondo unico”, ha certamente dei rischi e delle conseguenze potenzialmente negative, sia economiche che culturali. Fermandoci a questo secondo aspetto – che è quello che ci compete – il rischio più grande sta nell’annullamento dei caratteri distintivi di ogni città o di ogni Paese. Pensiamo alle grandi città del mondo, dai loro luoghi “di passaggio” – aeroporti, stazioni, grandi arterie stradali – ai luoghi invece “di passeggio” e di vita – i centri cittadini, i centri commerciali, i locali di ristorazione: non troviamo ovunque le stesse catene di negozi, le stesse multinazionali, gli stessi prodotti?

Sì, certamente.

Le città globali e i non luoghi

Si è cominciato così a parlare di “città globali” (per approfondire l’argomento consigliamo questo eccezionale articolo di mondointernazionale): città cosmopolite, nelle quali ritrovare “il mondo”, riconoscibile e sempre uguale.

L’antropologo francese Augé ha invece coniato il termine di “non luoghi”, ovvero spazi anonimi, senza identità e definizione, studiati per essere rapidi, efficienti, impersonali. Si transita, forse si acquista, ma non ci si intrattiene: non c’è spazio per l’incontro – è il contrario del concetto millenario delle piazze! –; rimane solo un accostamento freddo di individui soli e chiusi nel loro mondo, magari virtuale.

Perché sì, intanto l’uomo ha costruito spazi virtuali, luoghi digitali, piazze esistenti solo per algoritmi, in cui le persone si riuniscono, virtualmente, in un individualismo sempre più marcato che conduce a uno dei grandi mali di oggi e, soprattutto, delle nuove generazioni: la solitudine (in alcuni Stati, come la Gran Bretagna, stanno addirittura nascendo ministeri appositi).

Come sottolinea il sociologo francese Jean Baudrillard, il rischio della globalizzazione, dal punto di vista culturale, è quello di un azzeramento delle differenze e dell’instaurazione di una “cultura unica”.

Città omologate, popoli e tradizioni – spesso millenarie – accavallatisi troppo velocemente per potersi amalgamare con rispetto, incontri sociali e relativi scambi culturali limitati dal moderno individualismo. La conseguenza irreparabile è la perdita di identità dei luoghi, di ciò che li rende riconoscibili e distinguibili, differenzianti.

Se ci pensiamo bene, è invece proprio la diversità che rende le città e i luoghi meravigliosi. Conoscere e rispettare le differenze, le peculiarità, le tradizioni rappresenta la più alta forma di apprezzamento culturale.

Spingiamo il ragionamento al limite: quando avremo schiacciato tutte le differenze, quando sarà tutto standardizzato e uguale, perché dovremmo viaggiare per il mondo? Ne sentiremmo davvero l’esigenza?

Anche fosse, cosa racconterebbe Marco Polo a Kublai Khan?