COMUNICAMENTE: OPEN TO MERAVIGLIA, OVVERO LA GROTTESCA BANALIZZAZIONE DELLA CULTURA
OPEN TO MERAVIGLIA, OVVERO LA GROTTESCA BANALIZZAZIONE DELLA CULTURA
Tra errori, ingenuità e superficialismo, Open to meraviglia riapre la grande questione della valorizzazione dell’arte e della cultura italiana, tra banalizzazione e prestigio.
«Nove milioni di euro. Quanti precari del patrimonio culturale ci si potrebbero assumere? Quanti documenti antichi dei nostri archivi di Stato restaurare? Quante chiese curare, e riaprire? Quanti piccoli musei riallestire?». Sono gli interrogativi che si pone lo storico dell’arte Tomaso Montanari nell’articolo scritto per Il Fatto Quotidiano, nel quale, al di là della banalizzazione da trash del nostro patrimonio artistico, tocca un tema fondamentale: lo sperpero – o quantomeno cattivo uso – di denaro pubblico.
Un denaro di cui il mondo della cultura avrebbe tanto – ma davvero tanto – bisogno, e che invece viene “investito” nel suo impoverimento e nella sua banalizzazione.
A partire dal titolo stesso: Open to meraviglia.
In principio fu "VeryBello"
Mezzo titolo in inglese e mezzo in italiano non è una novità. Nel 2015, in concomitanza con l’Expo, l’allora ministro Franceschini avviò il progetto VeryBello, il cui portale – contenitore di eventi – doveva rilanciare il turismo italiano. Subito nei primi giorni la piattaforma andò incontro a problemi e critiche: errori tecnici, assenza di una privacy policy, problemi di indicizzazione, il marchio non registrato…
Il portale – costato 35.000 euro e rientrante in un’iniziativa di comunicazione più ampia di circa 5 milioni di euro – chiuse i battenti due anni più tardi, in maniera fallimentare.
Tempo di riprendere in mano il faldone dei disastri, ributtarsi nel lavoro e fare di meglio.
Anzi, di peggio.
Open to meraviglia: il grottesco che diventa epica
Ecco allora il nuovo progetto! Stesso obiettivo – il rilancio del turismo – e investimento quasi raddoppiato – 9 milioni di euro – con tanto di affidamento della creatività all’Armando Testa, una delle più importanti agenzie italiane.
Nonostante questo, la campagna – in una probabile compartecipazione di colpa – sta assumendo un sapore quasi epico, se non fosse miseramente grottesco.
L’unione (di nuovo!) tra termini inglesi e italiani potrebbe già far storcere il naso, ma nell’intera vicenda questo diventa davvero il minore dei mali, un dettaglio quasi ininfluente. Perché la lista delle ingenuità è davvero lunga…
Tra errori e ingenuità
Il picco del grottesco si registra con le traduzioni tedesche delle città italiane, ora eliminate per l’imbarazzo. Le traduzioni automatiche della società Almawave, che si occupa di intelligenza artificiale, toccano vette di comicità. Probabilmente la medaglia d’oro va alla traduzione di Premilcuore, borgo dell’appennino tosco-emiliano, che diventa Herzschrittmacher, ovvero “stimolatore cardiaco”. Ma la concorrenza è agguerrita: Prato diventa Rasen, Camerino Garderobe, Fermo Stillstand, e così via. Fanno quasi ridere, ma sono inaccettabili.
Altra cosa che ha il sapore del ridicolo è la vicenda relativa al dominio. Appare incredibile, ma nessuno ha registrato il dominio “opentomeraviglia”. Buon per l’agenzia di marketing Marketing Toys che, lesta e astuta, ha approfittato dell’ingenuità per acquistare il dominio a una manciata di euro. E la possibilità di ricavarne a vagonate, rivendendolo al ministero.
Il confine tra ridicolo e grave in questa vicenda è assai labile. Per esempio: è ridicolo o grave che un video di promozione turistico dell’Italia sia stato girato in Slovenia, acquistato su una piattaforma straniera – Artgrid –, diretto da un regista olandese e in cui appare sul tavolo una bottiglia di vino sloveno?
E poi rimane sempre quella Venere, estrapolata dal capolavoro di Botticelli, vestita alla bell’e meglio e allocata qua e là, davanti a “monumenti ridotti a location” (sempre Montanari).
La cultura banalizzata della Venere influencer
Le traduzioni tutt’altro che “meravigliose” ci suggeriscono che non possiamo affidare tutto alla tecnologia, agli automatismi digitali e all’intelligenza artificiale; il dominio “soffiato” ci insegna che non si può lasciare nulla al caso; il video sloveno ci fa riflettere sulle contraddizioni e ci fa capire l’importanza della coerenza. Ma cosa possiamo ricavare dalla Venere influencer?
Due cose semplici, ma fondamentali. Primo, che si deve occupare di cultura – e della sua comunicazione – chi di cultura si intende veramente e ne è appassionato. Due, che non va ridotto tutto a delle immagini fittizie e alla realtà (fino a quanto vera?) degli influencer.
Sfruttare i nuovi strumenti digitali, coinvolgere le nuove generazioni, puntare sulla viralità non vuol dire per forza banalizzare l’arte e appiattirsi in un grottesco superficialismo.
Non dobbiamo rendere accessibile la nostra cultura sminuendola e riducendola a stereotipi (la pizza), ma valorizzandola e incrementandone il prestigio. E magari agire sui prezzi degli ingressi, anziché farli lievitare col rischio di rendere l’arte elitaria, salvo le ammucchiate popolari delle giornate a ingresso gratuito (quanto di più sbagliato).
Open to meraviglia: e se l'obiettivo fosse raggiunto?
Però va detto, la campagna Open to meraviglia è diventata in poche ore virale. Tutti ne hanno parlato. Male, ma ne hanno parlato. Un detto – più o meno condivisibile – dice che “non esiste la buona e la cattiva pubblicità. Esiste solo la pubblicità”. Valutiamo anche il comunicato emanato dall’Armando Testa, che ringrazia per “commenti e meme” che hanno rotto “il muro dell’indifferenza” e dato vita a un “dibattito culturale”. E se fosse dunque stato questo l’intento, ovvero la viralità? Bè, in quel caso l’obiettivo sarebbe raggiunto, ma avvalorerebbe il concetto di trash e la banalizzazione della cultura, schiacciata da logiche digitali puerili e impoverita da (grossi) investimenti sperperati.
La meraviglia italiana è ben altro.