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I CENTO PASSI: INNO SICILIANO ALLA RIBELLIONE
I cento passi racconta la storia di Giuseppe Impastato, attivista, giornalista e conduttore radiofonico di Cinisi, voce oppositrice che per anni si è levata solitaria contro la mafia palermitana
Nel linguaggio odierno esistono moltissime parole il cui utilizzo è impropriamente inflazionato. Tra queste rientra senza dubbio il termine eroe, ormai abusato dal giornalismo di cronaca o da quello sportivo per riferirsi a situazioni che, a pensarci bene, di epico hanno ben poco.
Se provassimo a delineare le reali caratteristiche dell’eroe, descriveremmo probabilmente un personaggio solitario che si oppone alla malvagità, dotato di una forza d’animo fuori dal comune, insensibile alle intimidazioni tanto da rappresentare una guida e una speranza per gli altri.
Questo e molto di più era Giuseppe Impastato.
I cento passi, uscito nel 2000 per la regia di Marco Tullio Giordana, racconta la storia di un ribelle che ha osato opporsi al regime mafioso che imperversava a Cinisi. Anche la sua famiglia era tradizionalmente vicina a Cosa Nostra, motivo che lo indusse poco più che adolescente a rompere i rapporti con il padre, incapace di affrancarsi dal giogo dell’influente boss locale.
La pellicola ritrae con grande efficacia un ragazzo pieno di vitalità e iniziativa: a partire dall’inizio degli anni ’70 intraprende la strada dell’attivismo politico, a cui si dedica con fervore scrivendo sul proprio giornale pezzi al vetriolo contro la mafia. Inoltre, organizza attività culturali e ricreative, coinvolgendo un numero sempre maggiore di persone grazie allo spirito energico e trascinante che contraddistingue un ragazzo del suo carisma e che nella pellicola viene esaltato dal frequente uso di musica combat-folk (clicca qui per saperne qualcosa in più), un genere diffuso in Italia dai Modena City Ramblers i quali, proprio ispirati al film, hanno composto nel 2004 l’omonima canzone “I cento passi”.
Questo impegno civile viene spesso ostruito dalle autorità locali, motivo per cui nel 1977 decide di veicolare la contestazione della criminalità organizzata tramite Radio Aut, forte del fatto che “L’aria non ce la possono sequestrare!”.
Spesso ci si riferisce alla sua figura come progenitore dell’attivismo antimafia e, in effetti, è facile individuare profili di originalità nel suo ‘essere contro’. Peppino non si limita a denunciare pubblicamente le malefatte dei mafiosi: li espone al pubblico ludibrio, sbeffeggiandoli e attribuendo loro appellativi canzonatori. L’aura di intoccabilità che avvolge queste figure, nutrita da una tradizionale e diffusa omertà, viene a poco a poco sgretolata dalla satira e dal potere della derisione.
Può esistere qualcosa di più eroico del combattere la mafia ridicolizzandola?
Purtroppo, a differenza dei racconti di fantasia, non ci sarà un lieto fine: a causa della sua tenacia, Peppino verrà ucciso nella tragica notte del 9 maggio 1978, la stessa dell’omicidio Moro.
A riprova di quanto la sua voce fosse diventata pericolosa per le cosche, gli esecutori tenteranno di screditarne l’immagine di integerrimo oppositore, inscenando un attentato suicida contro la ferrovia Palermo-Trapani. Il mandante dell’omicidio Gaetano Badalamenti, più volte bersaglio delle filippiche di Giuseppe, sarà ufficialmente condannato solo nel 2002, due anni dopo l’uscita di questa pellicola.
Uno dei maggiori meriti del film è quello di coinvolgere il pubblico nella lotta del protagonista, restituendo perfettamente il sentimento di attaccamento e amore per la propria terra che lo muoveva. Peppino non riesce ad arrendersi all’inerzia del parassitismo mafioso, il morbo che lentamente divora la meraviglia del territorio siciliano. Il titolo della pellicola si riferisce alla distanza che divide la sua casa da quella di Zu Tano, suo futuro carnefice: trova semplicemente inconcepibile vivere a contatto con la mafia senza combatterla, gridando al mondo il proprio disgusto.
In una scena di straordinaria umanità, il protagonista nota assieme all’amico Salvo alcuni edifici abusivi che spuntano dal panorama palermitano e realizza come tutte le cose, anche le peggiori, trovino col tempo una giustificazione per il solo fatto di esistere. Forse come istinto protettivo ci si abitua a tutto pian piano. Da qui, la necessità di ricordare alle persone la bellezza come gesto sovversivo di stravolgimento culturale e di riappropriazione del territorio.
Per questi motivi, guardare questo film e ricordare le storie di antimafia e gli eroi che le hanno incarnate diventano piccoli grandi gesti di ribellione, da sempre primo passo verso il cambiamento.