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QUI RIDO IO E IL CONNUBIO TRA ATTORE E MASCHERA TEATRALE
Qui rido io, ambientato durante i vivaci anni della ‘Belle Epoque’, racconta la storia di Eduardo Scarpetta, dominatore della scena teatrale napoletana nelle vesti di Felice Sciosciammocca, capace di oscurare persino lo storico personaggio di Pulcinella.
Attorno a una tavola appena imbandita, cinque personaggi inequivocabilmente affamati si avvicinano timidamente alle pietanze, per poi gettarcisi sopra con voracità, dimentichi di ogni ritegno. Uno di loro, addirittura, si infila gli spaghetti in tutte le tasche disponibili, con un’iperbolica manifestazione di appetito. Questa celebre scena, che rappresenta la sublimazione in stile farsesco dell’abbuffata quasi orgiastica di cibo, in un periodo storico di estrema povertà e inedia, non è però quella interpretata da Totò come verrebbe spontaneo immaginare.
In Qui rido io, uscito nelle sale nel settembre del 2021, assistiamo all’originaria versione di Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta. La commedia giunge al successo nei primissimi anni del ‘900, ovvero circa mezzo secolo prima che la stessa opera fosse rivisitata in chiave cinematografica e resa immortale dal Principe De Curtis.
Scarpetta è universalmente riconosciuto come il capostipite del teatro dialettale napoletano: certamente in senso artistico, avendo modernizzato la commedia partenopea con l’introduzione della maschera di Felice Sciosciammocca, destinata a una grande fortuna, ma anche come progenitore di futuri talenti che hanno calcato i palcoscenici di Napoli durante tutto il Novecento. Dal travagliato matrimonio con Rosa e dall’indecorosa relazione con Luisa, nipote della moglie, nascono infatti Vincenzo Scarpetta e i tre fratelli De Filippo: Titina, Eduardo e Peppino.
Il taglio narrativo che viene dato alla vicenda sembra ricalcare questo connubio inestricabile tra vita famigliare e teatro che si respira in casa Scarpetta. Il regista partenopeo Mario Martone contribuisce sapientemente a sovrapporre le due dimensioni, facendo ampio ricorso alla tecnica fotografica dello scavalcamento di campo (scopri di cosa si tratta leggendo qui) . Non a caso, nel corso della pellicola si alternano in continuazione piano-sequenza dei protagonisti dietro le quinte a rovesciamenti dell’inquadratura, con ritorno a riprese frontali del palcoscenico.
Il suggerimento sembra essere quello di non fare troppa distinzione tra l’attore e la maschera che interpreta e, da questo punto di vista, il finale del film contribuisce decisamente a confermare questa pirandelliana chiave di lettura. Del resto, la narrazione ruota anche attorno alle vicissitudini giudiziarie a cui fu costretto Eduardo Scarpetta per aver parodiato un dramma di Gabriele D’Annunzio. Anche in questo caso, l’ingenuità del personaggio Sciosciammocca sembra estendersi alle vicende personali del suo interprete, soprattutto durante il goffo tentativo di ottenere un permesso scritto dal Vate. Tuttavia, come nella migliore tradizione teatrale, il protagonista verrà infine a capo delle personali disavventure grazie a un geniale espediente.
In questo film, lo spirito del popolo partenopeo, per tradizione istrionico e teatrale, emerge vigorosamente, soprattutto nella musicalità e suggestività del suo dialetto. Gli attori principali, neanche a dirlo, sono tutti napoletani, a partire da Toni Servillo, eccellente caratterista all’ennesimo capitolo del fortunato sodalizio con Mario Martone.
Qui rido io assurge a iconico filo conduttore della storia teatrale di Napoli, rappresentando la genesi della ribattezzata ‘dinastia Scarpetta-De Filippo’ e fornendo allo spettatore inaspettati riferimenti, utili a restituire una lettura più consapevole persino delle opere di Totò, ultima – e non unica – delle maschere partenopee, così straordinarie nel suscitare allegria e spensieratezza.
Qui ridiamo noi!