FANTASIE ECOLOGICHE: CLOUD ATLAS

CLOUD ATLAS: UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL TEMPO E LO SPAZIO

Sei episodi che abbracciano cinque secoli e che raccontano una storia che si estende lungo il tempo e attraverso lo spazio.

Sei storie che si svolgono in parallelo, nonostante abbiano ambientazioni diverse, come se “coesistessero in una dimensione senza tempo”.

A metà ‘800 un avvocato americano lotta contro la schiavitù; un giovane compositore bisessuale degli anni ’30 si lascia ingannare dal grandissimo autore per il quale lavora; negli anni ’30, a San Francisco, un giornalista vuole svelare un complotto per la realizzazione di un reattore nucleare; nell’epoca contemporanea un anziano editore viene internato in una RSA, da cui cercherà di fuggire; a Seul, nel 2144, un clone si unisce a ribelli e scopre che gli esseri come lei vengono utilizzati come cibo per altri loro simili; nel 2321 la Terra è tornata all’Età della pietra dopo un’apocalisse e un uomo entra in contatto con una civiltà tecnologicamente avanzata e si ribella alla tribù dominante.

Io credo che la morte sia solo una porta. Quando essa si chiude, un’altra si apre. Se tenessi a immaginare un paradiso, io immaginerei una porta che si apre e, dietro di essa, lo troverei lì, ad attendermi.

Queste storie coesistono e convivono, in un’unica sceneggiatura, rivelando un filo conduttore immaginario e soprattutto spirituale che tocca temi come la reincarnazione, la predestinazione, il transfer spirituale e rivela come un’azione rivoluzionaria sia un germe che si muove nel tempo e ne genera altre.

 

Cloud Atlas mette in scena l’omonimo romanzo di David Mitchell e si impegna a creare una narrazione sospesa che incrocia sei storie. Stessi attori che interpretano personaggi diversi e che, grazie al make-up e alla CGI sono irriconoscibili.

Un montaggio non convenzionale, per nulla regolare, che salta di storia in storia, inventando molto e lasciando diversi minuti a ognuna di esse, ma altre volte rimane solo pochi istanti su quella storia, solo per rivelarci un piccolo frammento di come sta proseguendo la narrazione.

L’idea è che il montaggio è il vero filo conduttore “tangibile” tra le varie storie, è il mezzo attraverso cui lo spettatore avverte il legame tra le diverse epoche, le diverse persone e le diverse azioni.

Ci sono momenti di rivelazione, di crisi, di fuga, di tensione, ma il montaggio delle diverse storie dà vita a un racconto “unico” e comune, perché spesso una narrazione ne completa un’altra.

 

Un gigantesco progetto di Tom Tykwer (regista di Lola corre, Profumo, The International) e delle sorelle Wachowsky – famose già per Matrix. È il film tedesco più costoso, senza l’aiuto di nessuna grande produzione, ed è anche il film indipendente più costoso di sempre – circa 130 milioni di dollari.

Tykwer si è occupato delle storie che si svolgono negli anni ’30, ’70 e nella modernità, mentre le registe di Matrix si sono occupate delle due storie future e su quella che si svolge nel XIX secolo.

Il risultato? Un prodotto non omogeneo, tanto che l’idea di fantascienza che dovrebbe permeare l’intero film, in realtà si avverte solo nelle storie delle Wachowasky. In quelle di Tom Tywer ritroviamo più atmosfere thriller, politiche, melò e della commedia grottesca.

Ben comprensibile quindi che il ritmo non sia incalzante come dovrebbe essere e che in alcuni momenti non sia affatto regolare – a volte troppo lento, altre troppo frenetico.

Nonostante ciò, Cloud Atlas è certamente un film dalla dimensione visiva straordinaria, innestata però su un racconto non a livello e complicato da gestire.